Si riportano di seguito le linee guida impartite dal Gruppo di Lavoro della FNOMCeO I.C.T. "INFORMATION AND COMMUNICATION TECHNOLOGY PRIVACY E TUTELA DEI DATI IN SANITA'":

RACCOMANDAZIONI SULL’USO DI SOCIAL MEDIA, DI SISTEMI DI POSTA ELETTRONICA ED INSTANT MESSAGING NELLA PROFESSIONE MEDICA E NELLA COMUNICAZIONE MEDICO-PAZIENTE

Documento elaborato da

Eugenio Santoro, Guido Marinoni,

Guerino Carnevale, Francesco Del Zotti

per conto del Gruppo di Lavoro ICT della FNOMCeO

Nicola Calabrese, Guerino Carnevale, Giacomo Caudo, Pietro Dattolo, Francesco Del Zotti, Aurelio Lembo, Guido Marinoni,

Emilio Montaldo, Roberto Mora, Francesco Noce, PierFranco Ravizza, Carlo Rugiu, Antonio Santangelo, Eugenio Santoro, Vincenzo Schiavo,

Gianluigi Spata, Alessandro Biagioni, Maria Beatrice Bilò, Sergio Bovenga, Matteo Cestari, Salvatore De Franco, Paolo Motolese, Diego Piazza, Umberto Rossa, Marco Zuffi

21 luglio 2023

Introduzione

Come è stato riportato già alcuni anni fa dall’Osservatorio Mondiale delle Comunicazioni (ORBICOM), “viviamo in un’epoca di grandi cambiamenti, sia per la loro portata che per la velocità con cui questi si succedono. La principale forza responsabile di questa corrente di trasformazione è costituita dalle nuove tecnologie: alcune delle conseguenze socio-economiche della rivoluzione digitale si fanno già sentire, altre sono previste a lungo termine, altre ancora sono del tutto imprevedibili”.

Durante questi ultimi tre anni di emergenza pandemica da Covid19 si è constatato un rapido cambiamento dei sistemi sociali e sanitari sotto tutti i profili: da quello della salute pubblica, del lavoro, dei contesti ambientale e sociale che ne hanno alterato, in breve tempo, i determinanti sanitari e gli equilibri politico-economici, culturali ed i percorsi ad elevato impatto sociale, tra cui la sostenibilità economica, la clinical governance, la resilienza occupazionale e le relazioni con le comunità ed il territorio. In tutto questo cambiamento, ancora in corso, le innovazioni tecnologiche, anche quelle applicate ai percorsi di prevenzione e di integrazione per la continuità delle cure, hanno trovato uno spazio enorme ed un terreno ancora più fertile ed hanno accelerato e favorito una nuova gestione dell’emergenza ospedaliera e, non da meno, quella sul territorio, incluse le aree geograficamente e strutturalmente disagiate, allo scopo proprio di potenziare gli asset della programmazione sanitaria sul territorio. Mai come adesso, l’essere umano si è dedicato, in una corsa contro il tempo, a pensare, e quindi ad avviare e realizzare una mole di progetti, programmi dedicati, start-up, spin-off a qualsiasi livello, utilizzando le conoscenze scientifiche e tecnologiche attuali. Ogni crisi pandemica non è mai solo una crisi di salute pubblica, è anche un processo di reazione e adattamento dei sistemi sociali. L’accelerazione di eventi nel tempo e l’urgenza nel dovere dare risposte corrette ed adeguate ai cittadini ha messo in luce disfunzioni e distorsioni degli equilibri sociali e sanitari preesistenti ma, allo stesso modo, ha favorito l’approfondimento della comunicazione appropriata relativa al ruolo medico-paziente.

Sulla base di queste esigenze, la produzione di raccomandazioni sull’utilizzo dei social media nella professione medica e nella comunicazione tra medico e cittadino-paziente era una necessità già in periodo pre-Covid19, ma è diventata oggi ancora più attuale considerando l’elevata diffusione di contenuti (scrittura, comunicazioni vocali, immagini, video) trasmessi attraverso questi mezzi di comunicazione. Durante l’emergenza pandemica, ha trovato spazio l’infodemia che, come viene definita dal WHO, è quella eccessiva quantità di informazioni, comprese quelle false o fuorvianti, in ambienti digitali e fisici che ne ha causato e ne causa, nei cittadini-pazienti, l’insorgenza di confusione e comportamenti rischiosi che possono nuocere alla salute. Questo fenomeno ha portato anche alla sfiducia nelle Autorità Sanitarie, quindi nel SSN, financo nei confronti del proprio medico curante con un effetto negativo sulla sanità pubblica. L’infodemia può intensificare o prolungare le epidemie quando le persone non sono sicure di ciò che devono fare per proteggere la propria salute e quella delle persone intorno a loro. Con il crescente incremento della digitalizzazione e, quindi, con l’espansione dei social media e dell'uso di Internet - le informazioni possono diffondersi più rapidamente e, spesso, le informazioni che i cittadini acquisiscono sono quelle scientificamente corrette.

Numerosi studi indicano d’altra parte che il numero di medici che fanno uso di una qualunque forma di piattaforma di social media è in Italia, come nel resto del mondo, in forte crescita. Se da una parte i medici usano questi strumenti per il proprio aggiornamento professionale, non mancano occasioni nelle quali viene chiesto loro di informare il pubblico su questioni che riguardano la propria salute. Disease awareness, patient empowerment, patient engagement, lotta alle fake news sono solo alcuni ambiti nei quali, in un modo o nell’altro, un medico che frequenta i social media si ritrova ad operare. Per non parlare della consuetudine a confrontarsi su queste piattaforme con i propri colleghi o, addirittura, con i propri pazienti magari esponendo casi clinici nei quali i pazienti possono riconoscersi, trascurando il rischio che la conversazione possa essere “non protetta“ od intercettata da terzi non aventi diritto.

In Italia, la comunicazione tra medici con scambio di informazioni scientifiche impiegando i social media avviene in assenza di una regolamentazione specifica o, quanto meno, di raccomandazioni che possano indicare quali atti un medico può fare, quali può pensare di fare con particolari accorgimenti e quali è importante non faccia mai, considerando che, già da tempo, le informazioni trasmesse con tale modalità possono essere utilizzate in giudizio quale mezzo di prova.

L’uso non appropriato di questi strumenti da parte dei medici li espone al rischio di compromettere il tradizionale rapporto medico-paziente e, nei casi più gravi, a quello di possibili azioni legali per non avere osservato, consapevolmente o inconsapevolmente, la privacy dei pazienti o per avere messo in discussione la reputazione o la professionalità di colleghi.

Simili considerazioni possono essere fatte per l’interazione medico-paziente mediata dalla posta elettronica o da sistemi di Instant Messaging, oggi praticata da numerosissimi medici attraverso una comunicazione sincrona o asincrona senza che siano chiare regole e modalità d’uso coerenti con la deontologia professionale.

Le implicazioni dal punto di vista deontologico sono numerose e rilevanti. Per questo riteniamo importante che la FNOMCeO prenda in considerazione questi aspetti elaborando delle raccomandazioni italiane sull’uso dei social media, della posta elettronica e dei sistemi di Instant Messaging nella comunicazione con i pazienti e con i cittadini i cui contenuti siano parte integrante del Codice Deontologico.

Il presente documento definisce e descrive le motivazioni per le quali è necessaria una regolamentazione ed elabora due raccomandazioni (una per la comunicazione mediata dai social media e l’altra per la comunicazione mediata dai sistemi di posta elettronica) che potrebbero essere adottate allo scopo. Lo sviluppo di una terza raccomandazione (per la comunicazione mediata dai sistemi di Instant Messaging) può prendere spunto dalle altre due (con le quali condivide molti aspetti) dopo un possibile confronto con il Garante per la Protezione dei Dati Personali in relazione ai problemi legati alla privacy.

Lo sviluppo di queste prime raccomandazioni non costituisce un punto di arrivo. Alla luce del rapidissimo mutamento nel contesto tecnologico e culturale che ha già investito i giovani, i pazienti, il personale sanitario, le altre professioni sanitarie ed in genere tutti i cittadini che quotidianamente accedono alla rete (con particolare riferimento alle piattaforme di social media) per le più svariate finalità di informazione e comunicazione, si suggerisce un aggiornamento delle stesse, a cadenza almeno biennale.

L’uso dei social media in Italia e nel mondo

 L’ultimo rapporto “We are Social 2022” prodotto a gennaio 2023 da Hootsuite, quantifica in 4,6 miliardi (pari al 58.4%) il numero di persone che nel mondo usano almeno una piattaforma di social media. La distribuzione per Paese è eterogenea. Nelle prime posizioni si collocano i paesi dell’Asia (con percentuali superiori al 90%), e gli Emirati Arabi (con un record del 99%), mentre nelle ultime stazionano i paesi africani (con percentuali tra il 15% e il 50%). L’Italia si colloca a metà strada, con una percentuale di uso di almeno una piattaforma di social media da parte del 71,6% degli italiani, pari a circa l’84,9% di chi naviga in rete. Riguardo all’impiego in ambito lavorativo delle piattaforme social tra i paesi del continente asiatico spicca l’India per i quali in media ogni utente possiede 11,4 account (Backlinko), a cui seguono gli Stati Uniti, l’Inghilterra, il Canada ed il Giappone.

Secondo l’ultimo rapporto Censis sulla comunicazione (riferito al 2022), YouTube è la piattaforma preferita degli italiani (con il 65,7% dell’intera popolazione), seguita da Facebook (64,7%), Instagram (49,4%), TikTok (27,8%), Twitter (15,1%) e LinkedIn (12,7%). Tra i giovani (14-29 anni) le preferenze si discostano da quelle della popolazione generale e riflettono la necessità di un modo diverso di comunicare. In questa categoria di persone, per esempio, YouTube rimane la piattaforma preferita (con l’83,3% dell’intera popolazione appartenente a questa fascia d’età), seguita però da Instagram (80,9%), TikTok (54.5%), Facebook (51,4%), Twitter (20,1%) e LinkedIn (12,7%).

Lo stesso report si sofferma sull’uso delle principali piattaforme di Instant Messaging (la messaggistica istantanea, IM). In testa a questa speciale classifica si trova Whatsapp (con l’83,6% dell’intera popolazione italiana) seguita da Telegram (27%), Snapchat (8,9%) e Signal (3,9%) . L’ordine della classifica non cambia quando si prende in esame la categoria dei giovani con percentuali d’uso rispettivamente del 93,4%, 37,2%, 23,3% e 4,7%. Skype è in genere meno utilizzata rispetto agli altri strumenti (9,1% nell’intera popolazione italiana e 10,5% tra i giovani).

 

I social media nella comunicazione della salute

 I social media ricoprono un ruolo oggi fondamentale nella comunicazione audio-video e nella informazione. Un numero sempre maggiore di cittadini li usa per informarsi e per comunicare con le proprie “communities”. In anni recenti il ruolo dei social media è cresciuto notevolmente in ambito medico grazie all’apertura di profili da parte di società scientifiche, riviste mediche, università e centri di ricerca, aziende sanitarie territoriali ed ospedali, strutture sanitarie private, medici ed altri operatori sanitari. Ad essi sono riconosciuti vantaggi nel favorire l’aggiornamento del medico, il confronto con i propri colleghi e l’ampliamento delle proprie reti sociali e professionali. La comunità scientifica è prevalentemente concorde nel riconoscere che l’uso dei social media da parte dei medici nella comunicazione con il cittadino e con i pazienti può favorire la diffusione di messaggi di sanità pubblica, migliorare la qualità dell’informazione a cui il pubblico può accedere e sostenere la lotta alle fake news.

La British Medical Association (BMA), l’American Medical Association (AMA), l’American College of Physician (ACP) e la Canadian Medical Association (CMA), l’Australian Medical

Association (AMA, 2019) hanno prodotto delle raccomandazioni per un uso appropriato ed etico dei social media da parte dei medici. In Italia, FNOPI (Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche) ha pubblicato raccomandazioni indirizzate agli infermieri italiani.

In sintesi, tali raccomandazioni suggeriscono ai medici che volessero usare i social media di aprire due account distinti, da usare rispettivamente per fini personali e professionali, avendo bene definito chi può accedere ai corrispondenti profili. Inoltre, suggeriscono che il profilo professionale non debba ospitare dati sensibili (incluse le immagini) riconducibili in qualche maniera ai pazienti, ma solo informazioni generali riguardanti la salute, la pratica clinica (oscurando o eliminando le informazioni sensibili), l’informazione scientifica e i link ad altri siti web, rimandando la discussioni tra colleghi ai social network professionali e alle online communities frequentate esclusivamente dai medici con accesso tramite registrazione, username e password. Ricordando che questi strumenti non garantiscono la confidenzialità della conversazione, tali raccomandazioni sconsigliano di rispondere ai pazienti su specifiche questioni sanitarie personali e suggeriscono di adottare adeguatamente gli strumenti messi a disposizione dalle varie piattaforme social per proteggerne i contenuti.

D’altra parte, esistono studi che dimostrano come siano gli stessi medici a temere per primi una loro presenza sui social. Temono infatti che la loro privacy (e quella dei pazienti) possa essere violata, così come la fiducia e la credibilità professionale nei loro confronti se un paziente avesse la possibilità di accedere a informazioni potenzialmente compromettenti. Ma soprattutto i medici temono i possibili rischi a cui i pazienti potrebbero essere esposti leggendo eventuali consigli medici, suggerimenti, raccomandazioni o semplicemente idee "postate" in contesti non necessariamente riferiti all'ambito assistenziale.

Inoltre, visto che i tecnicismi delle piattaforme social non poche volte sono complessi, insidiosi e favorenti il passaggio informativo ad ogni costo, è opportuna una formazione ad hoc dei medici sotto lo stimolo e la sorveglianza della FNOMCeO, anche alla luce delle raccomandazioni successive.

 

Le raccomandazioni delle principali società scientifiche

 Le raccomandazioni suggerite dalle principali società scientifiche internazionali possono sintetizzarsi nei seguenti argomenti specifici:

  1. riservatezza dei dati;
  2. gestione delle richieste di amicizia da parte dei pazienti;
  3. creazione di più profili (personale e professionale);
  4. dichiarazione di eventuali conflitti di interesse;
  5. affermazioni diffamatorie o ambigue (fake news, cioè l’uso di affermazioni non scientifiche)
  1. Riservatezza dei dati

La segretezza o il mantenimento della confidenzialità dei dati del paziente deve essere garantita mediante l’adozione di un comportamento attento nella discussione online di problematiche cliniche tra colleghi o con gli studenti. Il medico è obbligato a non divulgare, in assenza di un consenso appropriato, i dati del paziente. Tale obbligo deve essere considerato valido quando si usano Internet, i social media e qualunque altro media. Un errato utilizzo dei social media da parte dei medici può portare il paziente a riconoscersi nei post condivisi in rete con conseguenze gravi sotto il profilo legale e medico-legale nell’esercizio della professione.

  1. Richieste di amicizia

Esistono in letteratura studi che dimostrano come spesso i medici che ricevono una richiesta d’amicizia su Facebook dai propri pazienti (follower) la accettino senza preoccuparsi del fatto che questa scelta potrebbe confondere i confini tra la sua vita personale e quella professionale od integrarne i due aspetti e cambiare la natura della relazione tra medico e paziente. Questa prassi, quasi naturale e rapida, è frutto della facilità con la quale tali strumenti favoriscono il processo empatico nei confronti di persone conosciute e/o sconosciute, ed è la conseguenza del loro uso improprio da parte di coloro che accedono alla rete perché non è mai stata suggerita alcuna regolamentazione nel settore medico. Infatti, esiste una dimensione profonda del rapporto medico-paziente che è di primaria importanza nella relazione professionale. La conseguenza di questa tipologia di uso misto (professionale e privato) attraverso l’impiego di un linguaggio anche confidenziale tra medico e paziente, in alcuni casi, ha sviluppato casi di “transfert” (e di controtransfert), inteso come spostamento di dinamiche affettive non risolte dal paziente sulla figura del medico.

Il transfert emozionale, che avvicina il paziente al medico in un contesto diverso da quello che deve essere il ruolo paziente-medico (ma anche medico-paziente), anche dal punto di vista etico e deontologico, deve considerarsi una criticità da prevenire o risolvere in modo appropriato (anche attraverso la collaborazione con lo psichiatra e/o lo psicoterapeuta), evidenziando e ricordando che il medico deve essere sempre il garante del paziente anche per quel rapporto di fiducia che fa parte integrante della professione medica: questo in quanto il paziente, durante la sua malattia, può essere affetto da condizioni patologiche, quindi anche da sintomatologia che non gli consente di poter gestire determinati aspetti di natura comportamentale ed emotiva che possono essere acquisite durante il percorso di cura. Pertanto, l’accesso del paziente ai contenuti personali del medico può comprometterne il tradizionale rapporto di fiducia e il rispetto del ruolo scientifico-professionale, contribuendo a favorire comportamenti che oltrepassano gli usuali ed appropriati rapporti professionali. Altro aspetto rilevante nel corretto impiego della comunicazione efficace, empatica e leale medico-paziente attraverso l’uso dei social media è quello che si riflette nell’aderenza o non aderenza alla terapia da parte del paziente stesso.

Da queste considerazioni ha origine la decisione della BMA di suggerire ai medici britannici di rifiutare richieste di amicizia di pazienti che arrivano tramite piattaforme di social media poiché tali strumenti, secondo la BMA, non costituiscono un canale appropriato per l’interazione tra medico e paziente.

  1. Creazione di più profili

Un modo per separare la sfera privata da quella pubblica è quello di creare due profili/account (uno personale e uno professionale) sulle piattaforme che un medico intende presidiare. Questo è il suggerimento che proviene da diverse società scientifiche che ricordano, tuttavia, che i contenuti condivisi attraverso tali profili potrebbero essere visibili da utenti diversi rispetto a quelli per i quali erano stati pensati e quindi essere diffusi in rete perdendone il controllo.

Le associazioni scientifiche ricordano inoltre ai medici che i loro comportamenti, indipendentemente dai profili impiegati, non devono mai essere in contrasto con l’etica professionale. A questo proposito ricordano, tra le altre cose, di osservare la massima cautela nella condivisione di fotografie, filmati e altri contenuti che potrebbero ledere la privacy di persone terze o essere offensive nei loro confronti.

Come già accennato, una volta diffusi sulle piattaforme di social media, i post e i materiali in essi contenuti possono essere consultati da chiunque. Per esempio, dalle persone che dirigono organizzazioni sanitarie (come ospedali, strutture sanitarie, centri di ricerca, università, laboratori). Un uso scorretto dei social media potrebbe pertanto portare all’adozione di provvedimenti che possono pregiudicare la carriera professionale di un medico. Ciò vale anche per gli studenti universitari delle facoltà di medicina e per gli specializzandi, come descritto in una ricerca condotta negli Stati Uniti che ha evidenziato come alcuni di questi, per avere pubblicato post dai contenuti discriminatori o che non garantivano la confidenzialità dei dati dei pazienti, sono stati sottoposti a inevitabili provvedimenti disciplinari messi in atto dalle loro università.

  1. Conflitti di interesse

La mancata dichiarazione di possibili conflitti di interesse in riferimento a pratiche, rimedi, suggerimenti e soluzioni contenuti in un post pubblicato su una piattaforma di social media è un altro importante aspetto che dovrebbe essere regolato nella comunicazione della salute mediata dai social media. Esistono numerose ricerche che evidenziano conflitti di interesse (non esplicitati) nella promozione di farmaci e dispositivi medici da parte di medici e specialisti. Per esempio, uno studio su Lancet condotto su 156 emato-oncologi con un profilo attivo su Twitter e che nel 2014 avevano ricevuto almeno 1.000 dollari di compensi dai produttori di farmaci emato-oncologici, ha evidenziato che 126 di essi hanno fatto riferimento, nei tweet pubblicati negli anni successivi, ad almeno un farmaco di un'azienda dalla quale aveva ricevuto un compenso, ma che solo due di questi hanno esplicitato l’esistenza di un conflitto di interessi. Un’ulteriore analisi condotta su questi tweet ha inoltre illustrato che i medici con conflitti di interesse (dichiarati o non dichiarati) tendevano a presentare meglio i farmaci per i quali esistevano questi conflitti rispetto ad altri farmaci.

Sostenere l’uso di terapie in cambio di un compenso (più o meno indiretto) si scontra con i principi etici a cui ogni medico deve attenersi. Problemi simili si presentano quando si sostiene l’uso di rimedi meno efficaci di altri (o peggio inefficaci). Tali pratiche sono da ritenersi scorrette indipendentemente dai media utilizzati per metterle in atto, e assumono particolare gravità quando si impiegano le piattaforme di social media a causa della pervasività dei contenuti diffusi.

Al fine di evitare possibili equivoci, al medico è richiesto di agire in totale trasparenza rendendo espliciti, fin dall’inizio, eventuali conflitti di interesse come oggi già avviene nell’ambito dello svolgimento di relazioni scientifiche presso enti pubblici e privati e in occasione di presentazioni a congressi e simposi.

Anche se sul web esistono diversi strumenti e suggerimenti circa le modalità di dichiarazione degli eventuali conflitti di interesse, sulle piattaforme di social media, in particolare quelle che applicano limiti di carattere ai post (come per esempio Twitter, Instagram e per certi aspetti Facebook), il problema potrebbe essere è un po’ più complicato.

In questi casi il conflitto di interessi potrebbe essere esplicitato inserendo nel post un "tag" elettronico (in letteratura c’è un generale accordo sugli hashtag #noCOI e #COI ad indicare

rispettivamente l’assenza e la presenza di conflitti di interesse) o un link a una “disclosure form” da inserire tra le informazioni generali di profilo o nella “biografia”, come per esempio quella presente sul sito web dell’International Committee of Medical Journal Editors (International Committee of Medical Journal Editors. ICMJE Form for Disclosure of Potential Conflicts of Interest. Available at: http://www.icmje.org/coi_disclosure.pdf) o quella dell’American Society of Clinical Oncology (https://old-prod.asco.org/about-asco/legal/conflict-interest-coi ).

  1. Contenuti denigratori

Partecipazione e interazione sono state alla base dello sviluppo, in questi decenni, del World Wide Web. La libera partecipazione di un individuo non consente però di esprimere opinioni o affermazioni che possano essere lesive, sotto il profilo psichico e fisico, nei confronti degli altri utenti. E’ importante ricordare che il reato di diffamazione esiste anche sul Web e può riguardare qualsiasi tipo di post o commento indipendentemente dal fatto che sia stato prodotto a titolo personale o professionale. Qualunque soggetto, anche se nascosto dietro un illusorio anonimato, che si renda responsabile della pubblicazione, condivisione e diffusione di affermazioni in grado di recare danno alla reputazione di un individuo (o di un ente), potrebbe essere oggetto di azioni legali.

Non bisogna poi dimenticare che i contenuti pubblicati su Internet e sulle piattaforme di social media si prestano ad essere oggetto di fraintendimento. Infatti, a differenza delle comunicazioni tradizionali in presenza, questo genere di comunicazione non prevede l’analisi della gestualità e della mimica facciale e altri aspetti che contribuiscono ad arricchire la comunicazione. Altri strumenti, come le emoji, potrebbero modificare la percezione emotiva del messaggio. Occorre quindi che il medico presti molta attenzione per non correre il rischio, mediando la comunicazione con la sola tecnologia, di esprimere in modo scorretto il contenuto che intende comunicare.

 

Una proposta di raccomandazioni nell’impiego di social media da parte dei medici nella comunicazione con il cittadino/paziente

Quella indicata rappresenta una possibile lista di raccomandazioni da fornire al medico che volesse utilizzare una piattaforma di social media per comunicare con i cittadini e i pazienti. Tali suggerimenti potrebbero essere utili per modificare gli articoli del Codice Deontologico relativi ai paragrafi sulla

Informatizzazione e Innovazione Sanitaria, sulla Informazione e Comunicazione e sulla Informazione/Pubblicità Sanitaria.

  1. Nell’uso di piattaforme di social media osserva i principi deontologici e rispetta i confini professionali prevedendo, eventualmente, l’apertura di due profili, uno personale e uno professionale
  2. Dichiara che stai parlando a nome personale e non a nome della struttura in cui lavori
  3. Controlla il profilo di chi ti chiede l’amicizia (per quelle piattaforme di social media – come, per esempio, Facebook – per le quali la relazione è sottoposta a un processo di abilitazione)
  4. Usa cautela nell’accettare amicizie dagli assistiti/pazienti (sia nel caso di profili professionali che personali) evitando di pregiudicare la relazione medico-paziente
  5. Attraverso i profili (personale o professionale) contribuisci a diffondere la cultura scientifica e l’informazione sanitaria scrivendo di salute (prevenzione, salute pubblica, promozione della salute, lotta alle fake news) e non di «medicina» e di cure, in modo da favorire l’empowerment del cittadino
  6. Assicurati della validità scientifica dei contenuti diffusi attraverso i post
  7. Non fornire consigli clinici individuali
  8. Non pubblicare o condividere post che contengono dati sanitari personali
  9. Usa cautela nell’esprimere giudizi/opinioni/commenti sugli assistiti, anche quando questi sono ritenuti anonimi
  10. Ricordati che sui social media la diffamazione e il mancato rispetto della privacy e del diritto d’autore sono reati perseguibili dalle leggi italiane
  11. Ricordati che quanto pubblichi sui social media può essere accessibile da chiunque e può rimanere disponibile indefinitamente
  12. Ricordati che una volta che un post è stato pubblicato l’autore perde il controllo sulla sua diffusione
  13. Prima di pubblicare un post, rifletti sul modo in cui i contenuti saranno percepiti dai cittadini e sulle possibili conseguenze che essi possono avere
  14. Gestisci al meglio la tua privacy e i profili personali: gli strumenti disponibili allo scopo sulle piattaforme di social media sulle quali si è deciso di aprire un account possono fare molto, se usati bene
  15. La discussione di casi clinici attraverso le piattaforme di social media deve garantire l’anonimato e la non riconoscibilità
  16. Si suggerisce di esplicitare nel post eventuali conflitti di interessi con un "tag" elettronico (per esempio #COI o #noCOI) o con un link a una “disclosure form”.

 

Una proposta di raccomandazioni nell’impiego di sistemi di posta elettronica nella comunicazione tra medico e cittadino/paziente

Meno controverso è il dibattito relativo all’impiego della posta elettronica per lo scambio di informazioni tra medico e paziente, supportato da diversi studi e revisioni sistematiche condotti per misurarne l’efficacia. Tali studi suggeriscono che la posta elettronica può essere uno strumento prezioso nella gestione del follow-up dopo una visita convenzionale, nel self-management di un disturbo, nel garantire il mantenimento di un rapporto proficuo tra malato e curante nella continuità

dell’assistenza, nel fornire link e materiali di approfondimento su specifiche tematiche che lo riguardano, e per gestire la routine medica (fissare appuntamenti, gestire le situazioni non di emergenza, inviare ai pazienti dei richiami per le vaccinazioni).

Ma al di là dei possibili effetti la domanda che occorre porsi è se è lecito, e in quali condizioni, usare la posta elettronica nel rapporto medico-paziente, soprattutto quando è utilizzata per veicolare informazioni sensibili.

Esistono delle raccomandazioni a riguardo pubblicate dall’American Medical Association (AMA) che regolano il rapporto medico/paziente “conosciuto” e disincentivano il rapporto medico/paziente “non conosciuto”. Alcuni suggerimenti sono tecnici, per esempio l’uso di sistemi protetti e garantiti che permettano la cifratura dei messaggi, mentre altri sono di natura organizzativa, come per esempio tenere traccia nelle cartelle cliniche informatizzate delle comunicazioni che avvengono via email.

La pandemia, tra l’altro, ha determinato la necessità di semplificare la trasmissione delle ricette dematerializzate ai pazienti contingentando l’accesso negli studi medici per minimizzare i contatti e i momenti di aggregazione. Soluzioni queste rese possibili da provvedimenti legislativi a termine e che diventeranno strutturali con i provvedimenti in via di emanazione da parte del Governo.

Quella che segue rappresenta una possibile lista di raccomandazioni e norme (frutto di una rielaborazione e contestualizzazione alla situazione italiana delle norme identificate da AMA) da fornire al medico che volesse utilizzare i sistemi di posta elettronica per comunicare con i cittadini e i pazienti. Tuttavia, nella consapevolezza che la maggior parte dei sistemi di posta elettronica non offre meccanismi semplici di cifratura dei messaggi né funzioni che facilitano l’organizzazione del lavoro del medico, si suggerisce l’ulteriore sviluppo e maggiore impiego di piattaforme sul web che gestiscono la comunicazione in ambienti protetti e che si integrano con i sistemi per la gestione della scheda sanitaria elettronica oggi usati dalla maggioranza dei medici italiani.

Tali suggerimenti potrebbero essere utili per modificare gli articoli del Codice Deontologico relativi ai paragrafi sulla Informatizzazione e Innovazione Sanitaria, sulla Informazione e Comunicazione e sulla Informazione/Pubblicità Sanitaria anche tenendo conto delle norme vigenti rispetto all’utilizzo di strumenti alternativi al promemoria cartaceo della ricetta elettronica dematerializzata.

  1. Usa questa modalità di comunicazione solo nel caso di pazienti conosciuti
  2. Ottieni preventivamente un consenso previa una adeguata informativa al paziente all’impiego di tali sistemi anche con le modalità specifiche definite dagli organi regolatori per la tipologia di attività
  3. Richiedi al paziente di non usare questi sistemi nei casi di urgenza
  4. Informa i pazienti se altri avranno accesso alle loro informazioni (nel caso ciò sia possibile)
  5. Non inviare mai a terzi immagini o messaggi che includono informazioni che possano rendere riconoscibile un paziente in assenza del suo consenso
  6. Ove possibile, genera automaticamente una risposta di notifica della ricezione di un messaggio inviato dal paziente
  7. Stabilisci i giorni e gli orari nei quali essere disponibili a rispondere alle domande poste attraverso questi strumenti
  8. Stabilisci un tempo massimo per rispondere ai messaggi
  9. Identifica un formato standard di messaggio per rendere più agevole la comunicazione
  1. Ove possibile, archivia i messaggi con le relative conferme di ricezione e ove possibile, allegali alla cartella clinica elettronica/scheda sanitaria
  2. Usa i sistemi di cifratura dei messaggi (per consentire che questi possano essere decodificati e letti solo dal reale destinatario)
  3. Usa sistemi di backup dei dati per evitare perdite di dati e conversazioni importanti
  4. Per tutte le attività che richiedono la comunicazione di dati sensibili, è meglio orientarsi verso piattaforme sul web che gestiscono la comunicazione in ambienti protetti e sicuri e che integrano gli oggetti della comunicazione con i sistemi per la gestione della cartella clinica/ scheda sanitaria.

 

La comunicazione medico-paziente mediata dai sistemi di instant-messaging

 Numerosi studi, condotti in diverse aree mediche, evidenziano come l’uso di sistemi di Instant Messaging, con particolare riferimento a Whatsapp, siano ampiamente usati nella comunicazione medico-medico e medico-paziente.

Gruppi su Whatsapp nascono tra medici e loro colleghi per discutere casi clinici ed esperienze, informarsi sulle condizioni cliniche dei loro pazienti, approfondire questioni su patologie e farmaci, definire per i loro pazienti percorsi diagnostico/terapeutici, condividere le novità scientifiche provenienti da riviste e congressi, o semplicemente per organizzare il proprio lavoro in equipe.

Il suo impiego, per esempio, si è rilevato strategico nel gestire le situazioni di emergenza sanitaria durante gli attacchi terroristici di Londra del 2017 e del 2019 e durante l’incendio della Grenfell Tower del 2017.

Whatsapp (e meno frequentemente gli altri strumenti di Instant Messaging) è inoltre sempre più spesso usato dai pazienti per inviare ai propri medici referti di prestazioni sanitarie, immagini mediche, video e dati clinici, ad integrazione e complemento della visita ambulatoriale. Ed è usato dagli stessi medici per comunicare con i propri pazienti al fine di gestire le visite di controllo, fornire tempestivamente risposte per gestire una emergenza, e per attivare una sorta di “monitoraggio” (fatto da casa) della patologia di cui il paziente soffre, soprattutto quando questa è cronica.

Il loro uso è documentato anche nel campo della prevenzione, con sperimentazioni cliniche randomizzate che ne dimostrano l’efficacia (quando inseriti in una strategia che integra una terapia cognitivo comportamentale) nella cessazione dal fumo.

Sebbene gli studi sulla efficacia degli strumenti di Instant Messaging su outcome di tipo clinico siano piuttosto limitati e non sempre rigorosi, diversi sono i loro vantaggi (spesso documentati da sondaggi di opinione condotte su medici) riportati in letteratura, tra cui la semplicità d’uso, la tempestività nel fornire/ottenere  risposte,  l’economicità,  il  miglioramento  della  comunicazione  tra medici e tra medico e paziente, l’aumento dell’efficienza dell’intervento comunicativo, la riduzione delle prestazioni ambulatoriali e dei loro tempi, il miglioramento della condivisione delle conoscenze cliniche e scientifiche. Non tutti i medici, tuttavia, sono d’accordo con queste opinioni. Molti sostengono, per esempio, che l’uso dei sistemi di Instant Messaging può ridurre la produttività,

aumentare il loro carico di lavoro, aumentare il rischio (sanitario e legale) sia per gli operatori sanitari che per i pazienti, e compromettere la relazione medico-paziente.

È necessario porre anche attenzione alle criticità derivanti dal monopolio della gestione dei dati da parte di poche aziende difficilmente controllabili.

La critica più importante sollevata dalla letteratura scientifica è che non esistono linee guida e raccomandazioni nazionali o internazionali all’impiego di strumenti di Instant Messaging come per esempio Whatsapp, Telegram, Signal e Facebook Messanger. Nonostante in Italia, nella situazione di emergenza Covid-19, siano state lanciate da parte di alcune ASL esperienze di uso di Whatsapp per l’attivazione di ambulatori virtuali per la gestione del dolore, per fornire supporto psicologico alle neo-mamme risultate positive al Covid-19 e per rendere virtuali Consultori e Sportelli Giovani, non esistono a livello regionale, nazionale e internazionale linee di indirizzo all’impiego di questi strumenti. Oltre a ciò si segnala la previsione normativa per l’invio del numero di ricetta elettronica – NRE attraverso “SMS o applicazioni di telefonia mobile che consente lo scambio di messaggi o immagini”.

Il National Health Service (NHS) inglese è contrario all’impiego di Whatsapp sia nella comunicazione medico-paziente, sia in quella tra i medici. Esso ritiene infatti che, sebbene i messaggi siano criptati in transito, questo non significa che siano privati. Inoltre, sostiene che i messaggi possono essere facilmente letti su un telefono smarrito o rubato e che lo strumento non è compatibile con il GDPR anche a causa del fatto che i suoi messaggi sono memorizzati su un server negli Stati Uniti. Come alternativa, il NHS propone lo sviluppo di app di messaggistica istantanea appositamente dedicate che superino questi problemi.

Occorre tuttavia segnalare che lo stesso NHS, in seguito all’emergenza Covid-19, ha parzialmente modificato il suo giudizio da una parte lavorando con Meta, proprietaria di Whatsapp, per costruire un chatbot funzionante sul noto sistema di Instant Messaging al fine di fornire ai cittadini britannici le informazioni basilari sulla pandemia, dall’altra consentendone l’uso da parte di medici, infermieri e operatori sanitari per lo scambio (tra di loro) di dati di pazienti nelle situazioni di crisi. A questo proposito, già nel 2018 il NHS aveva sviluppato delle linee di indirizzo per l’impiego dei sistemi di Instant Messaging per consentire ai team sanitari di comunicare rapidamente (nelle situazioni di emergenza) informazioni riservate sui pazienti. Tali raccomandazioni suggerivano (anche se non esplicitamente) l’uso di Signal (preferito a Whatsapp, Viber e Telegram) perché forniva una migliore garanzia sulla protezione dei dati (sebbene non fosse garantita, per questa come per le altre soluzioni, la continuità del servizio) e includevano suggerimenti per garantire la riservatezza dei dati condivisi (per esempio chiedendo di cancellare il messaggio dopo averlo copiato nella cartella clinica del paziente, di evitare di archiviare immagini sullo smartphone personale e di disabilitare la notifica automatica dei messaggi). La scelta di Signal è peraltro in linea con quanto deciso anche dall’Unione Europea, alla ricerca di un sistema di messaggistica da suggerire ai propri dipendenti.

Ciò che è comunque certo è che non esiste ad oggi alcuna linea guida (nazionale o internazionale) specifica che regoli adeguatamente l'uso di WhatsApp o altri strumenti di IM. A questa conclusione giunge anche un articolo frutto di una revisione della letteratura. Gli articoli esaminati riflettono la comprensione da parte dei medici del bisogno di consigli su come usare WhatsApp in modo etico, regolamentato e legale, ma, considerata anche la complessità della materia, non vanno oltre semplici suggerimenti dettati spesso dal buon senso.

In sintesi, Whatsapp (ma la cosa potrebbe essere estesa anche ad altri sistemi di IM) è usato dalla maggioranza dei medici e dei pazienti nella relazione medico-medico e medico-paziente. Il suo uso, sebbene possa fornire una serie di vantaggi, non è regolamentato. Ciò crea un’area grigia nella quale ognuno (medico e paziente) si sente libero di agire mettendo però a rischio non solo la relazione medico-paziente, ma anche la privacy del paziente. A nome del gruppo di lavoro ICT di FNOMCeO riteniamo sia venuto il momento di affrontare la questione in Italia per arrivare almeno a stilare una serie di raccomandazioni che possano ridurre l’area grigia e individuare confini e modalità per un suo uso che sia compatibile con il Codice Deontologico.

Le tematiche da affrontare in una possibile regolamentazione dell’uso dei sistemi di Instant Messaging come strumenti di comunicazione in medicina riguardano aspetti tecnici, etici, organizzativi, legali, senza dimenticare la confidenzialità dei dati e la privacy, e non sono diverse da quelle relative all’uso dei social media e dei sistemi di posta elettronica per le quali il presente documento ha stilato delle raccomandazioni. Si potrebbe partire da queste ultime, cercando di coinvolgere, per gli aspetti legati alla privacy, il Garante per la Protezione dei Dati Personali.